Leggevo Dean Kuntz quando mi hanno condannato a morte.
Sono venuti a dirmi, direttamente al mio lettino d’ospedale, che dovevano farmi una Tac perché “sospettavano qualcosa al fegato”. Dovevo firmare, per via del liquido di contrasto che poteva farmi un effetto da kriptonite rossa, o anche verde. Ho sceso un po’ di scale e traversato corridoi, dove tutto era immobile e raggelato come me. Mi hanno esaminato, sempre in stato di stupefazione, e riportato al mio letto. Lì mi sono rimesso a leggere Kuntz, nella mia stanza a sei letti, vuota. Ho fatto la solita cabala: se il protagonista muore, muoio anch’io. Il protagonista muore. Mentre stavo considerando se buttarmi dalla finestra per bypassare la noiosa procedura di morire con tutti crismi in ospedale (ma un po’ perplesso, perché il libro aveva ancora una ventina di pagine e mi sembrava improbabile che avessero concluso la vicenda nell’aldilà), sono venuti a dirmi che per questa volta non morivo. Me l’ha detto la mia dottoressa preferita, a cui ho stretto la destra con le mie mani congiunte, un gesto che dato il mio understatement corrisponde a un appassionato abbraccio. Mentre il mondo riprendeva a funzionare e la brina scivolava via dal cuore, ho finito Kuntz (il protagonista moriva, ma non in senso canonico, il che spiegava perché io ero vivo). Poi sono andato sul terrazzo e mi sono messo a cantare qualcosa, ridacchiando.
venerdì 6 marzo 2009
martedì 3 febbraio 2009
lunedì 2 febbraio 2009
fumo
Le sigarette hanno tutto un altro gusto su Terradue; prima di tutto non si distingue una marca dall'altra: sono solo più o meno forti, ma il sapore è sempre lo stesso. Se sono forti bruciano la gola, le altre sembrano non voler concedere nulla, sei costretto a tirare fino a rendere la brace un grumo luminoso e non ottieni niente. Se fai passare il fumo per il naso ti ritorna indietro, in gola, se lo aspiri ti fa tossire. Bruciano male, le sigarette di Terradue: la brace si consuma di lato, se tiri forte per riequilibrarla il difetto si incrementa, e talvolta casca un piccolo globo rovente, che una volta spento appare come una sferetta durissima. Certe volte la carta in prossimità della brace si macula rapidamente, compaiono lentiggini irregolari giallo-nerastro, che arrivano a creare microbuchi nella carta. Queste sigarette sono umide o troppo secche, con il contenuto che scivola fuori dall'estremità lasciando il cilindretto acciaccato, che appena acceso fa una veloce, inutile fiammata. E, segno rivelatore, la marca stampata in prossimità del filtro ha l'inchiostro irregolare, o sbavato, o semitrasparente. Così, su Terradue, anche accendere una sigaretta non conforta più di tanto.
martedì 27 gennaio 2009
brividi
Fino ad una certa età le escursioni in Terradue possono avere il loro fascino: respirare nebbioline gelate sentendo brividi giù per la schiena, far correre lo sguardo su viti storte e rondelle arrugginite, a fare commisto sul pavimento di un vecchio garage deserto fuori dal quale un vecchio lupo strattona la catena. Vedere gli stenti alberelli di natale accendersi e spegnersi sui terrazzi gelati del paese, buio e sprangato per la lunga notte. Vestiti immettibili nel cestone del mercatino dell'usato, bar con biancamaro e patatine gommose, passeggini con vecchie chiazze di pappa parcheggiati da anni negli androni umidi, tracce di adesivi pubblicitari su cassettiere similsvedesi ammucchiate vicino al cassone dei mobili vecchi, alla periferia di Torino, tutto questo può essere un po' come vedere Kruger far tintinnare le lame sullo schermo, se si può poi tornare alla luce, se si può sentire il confortante fruscio della camicia stirata quando, prendendola per il colletto, la si svolge con un unico secco gesto, radersi con il rasoio che vola sulla mascella. Ma solo finché la mascella ha una curva decisa, la luce è forte, finché le vecchie rondelle sono un piacevole esotismo, il bar col biancamaro un curioso incidente; solo fino a una certa età.
mercoledì 21 gennaio 2009
il viaggio sbagliato
Poco dopo Natale ho soggiornato quattro giorni su Terradue: al “Via” segnato dalle cifre rosse che la sveglia digitale dipingeva sul soffitto bianco sopra il mio letto, mettevo il grosso zaino in spalla e inserivo una foto (o un tracciato, il percorso da fare o qualcos’altro) ma subito mi accorgevo che la foto era rovesciata, il percorso ribaltato, insomma il viaggio iniziava non solo imperfetto, ma destinato a portarmi quanto più lontano dall’obiettivo si poteva immaginare: una rovina simmetrica e ineluttabile. Ciononostante andare avanti era ancora la cosa più sensata da fare. Così, quando riaprivo gli occhi e le cifre rosse mi indicavano che erano trascorsi una ventina di minuti, ricominciavo il viaggio, ma la grafica della situazione era cambiata; il pulsante che dovevo premere per lo start, la cornice in cui inserire la foto o il tracciato erano diversi, minimal o country, a colori fluorescenti o gothic. Il fatto che il decor dell’ambiente fosse mutevole e che certi ambienti mi fossero più congeniali di altri non cambiava niente, cioè l’ineluttabile errore rimaneva tale, solo vi era un attimo di conforto, una pezzuola fresca sulla fronte, la speranza che forse, anche a tracciato ribaltato, si poteva arrivare da qualche parte.
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